Vengo da Napoli,
Città associata al Vesuvio nell’immaginario collettivo
ma plasmata forse anche di più dal super-vulcano dei Campi Flegrei,
che non sembra un vulcano
ma lo è, eccome.
Dentro ci vivono 600.000 persone.
Alle falde del Vesuvio sono quasi 700.000.
In mezzo la città.
È strano, a pensarci, che tanta gente viva a stretto contatto con un vulcano attivo.
Strano, ma così frequente in giro per il mondo.
Fatalismo?
Incoscienza?
Sospensione della memoria?
Forse semplice necessità.
I vulcani sono lì che vivono in un loro tempo
dilatato e inconcepibile, per noi umani,
un tempo, per noi, paragonabile all’immensità,
immensità che ce li fa apparire immutabili,
fermi mentre tutto intorno la vita brulica;
vita quotidiana di spostamenti veloci e luoghi consueti,
la nostra vita fatta di macchine, schermi e aperitivi all'aperto.
Solo ogni tanto, un leggero tremore della terra ferma il tempo e il sangue nelle vene.
Ogni anno vado una settimana a Vulcano, nelle isole Eolie.
Lungo la costa erosa dal mare e dal vento la falesia mostra le rocce stratificate che raccontano di successive eruzioni e di migliaia, centinaia di migliaia di anni,
e io faccio il bagno in quel mare subito blu profondo e così, sospeso a oltre mille metri dal fondo marino, mi guardo intorno e, anno dopo anno, sembra tutto fermo, immutabile;
ma poi mi immergo in acque attraversate da flussi bollenti che risalgono dal fondale; osservo la cima del monte, gialla di zolfo e fumante di gas mefitici;
e no, non è tutto fermo e immutabile;
solo sospeso.
Lavoro con le rocce vulcaniche per rivestire i miei cocci:
le raccolgo, le macino, le mescolo tra loro e con altri materiali;
le fondo.
Faccio smalti da ceramica.
La strada porta verso il vulcano.
Tutto introno la vita brulica;
ma ogni tanto, in un leggero tremore, avverto il respiro profondo dell’immensità.