Si tratta, in effetti, di elaborati che possono essere definiti come progetti.
Nel seguito li presenteró, smontati e riassemblati, cercando di mettere in evidenza il metodo e le finalità del mio lavoro. Senza, ovviamente, tentare di dare alcun senso generale non avendo intenzione di teorizzare.
Il primo lavoro, Cratere#1, è tutto in due foto.
Quella che segue, che raccoglie diversi stimoli che hanno contribuito alla formazione dell'idea.
- approccio ai materiali e alle tecniche derivato dall’esperienza maturata da B. Leach e S. Hamada e successivamente sviluppato dai ceramisti occidentali che nell’ultimo secolo si sono dedicati al grès e alla porcellana (tradizione orientale con metodi e materiali di questa parte del mondo);
- sguardo alla produzione italiana, con riferimento specifico al lavoro di N. Valen(tini. In proposito vedi disegno centrale nella foto sopra, dove riproduco a matita (solo uno schizzo maldestro) una sua opera dal titolo "Cratere centro spirale";
- difetti di produzione negli antichi forni cinesi - vedi sotto foto tratta dal sito Trocadero.com di un pezzo denominato Fine Chinese Song Dynasty Qingbai Porcelain Bowl in Kiln Saggar - dove le ciotole venivano disposte nei forni all’interno di muffole per evitare che venissero investite direttamente dalle fiamme. Le muffole erano sagomate per poter essere impilate ma, qualche volta, la ciotola restava saldata alla muffola e veniva scartata. Oggi questi difetti di cottura sono pezzi da esposizione;
- utilizzo di materiali vulcanici nella composizione degli smalti. Qui il termine cratere prende la sua accezione geologica (dal vocabolario Treccani: Nei vulcani, cavità generalmente imbutiforme e più o meno ampia, che costituisce l’orifizio del condotto o camino).
La seconda foto ritrae un disegno associato a Pensiero partenopeo: un componimento che ho scritto durante lo studio di Cratere#1, che ho già pubblicato e che qui riporto nuovamente per completezza.
Vengo da Napoli,
Città associata al Vesuvio nell’immaginario collettivo
ma plasmata forse anche di più dal super-vulcano dei Campi Flegrei,
che non sembra un vulcano
ma lo è, eccome.
Dentro ci vivono 600.000 persone.
Alle falde del Vesuvio sono quasi 700.000.
In mezzo la città.
È strano, a pensarci, che tanta gente viva a stretto contatto con un vulcano attivo.
Strano, ma così frequente in giro per il mondo.
Fatalismo?
Incoscienza?
Sospensione della memoria?
Forse semplice necessità.
I vulcani sono lì che vivono in un loro tempo
dilatato e inconcepibile, per noi umani,
un tempo, per noi, paragonabile all’immensità,
immensità che ce li fa apparire immutabili,
fermi mentre tutto intorno la vita brulica;
vita quotidiana di spostamenti veloci nei luoghi consueti,
la nostra vita fatta di macchine, schermi e aperitivi all'aperto.
Solo ogni tanto, un leggero tremore della terra ferma il tempo e il sangue nelle vene.
Ogni anno vado una settimana a Vulcano, nelle isole Eolie.
Lungo la costa erosa dal mare e dal vento la falesia mostra le rocce stratificate che raccontano di successive eruzioni e di migliaia, centinaia di migliaia di anni,
e io faccio il bagno in quel mare subito blu profondo e così, sospeso a oltre mille metri dal fondo marino, mi guardo intorno e, anno dopo anno, sembra tutto fermo, immutabile;
ma poi mi immergo in acque attraversate da flussi bollenti che risalgono dal fondale; osservo la cima del monte, gialla di zolfo e fumante di gas mefitici;
e no, non è tutto fermo e immutabile;
solo sospeso.
Lavoro con le rocce vulcaniche per rivestire i miei cocci:
le raccolgo, le macino, le mescolo tra loro e con altri materiali;
le fondo.
Faccio smalti da ceramica.
La strada porta verso il vulcano.
Tutto introno la vita brulica;
ma ogni tanto, in un leggero tremore, avverto il respiro profondo dell’immensità.